venerdì 2 giugno 2017

1. Neruda, di Pablo Larraìn (2016) Eyeglass prescription - Best Film 2015/2016


1. Neruda (2016)

Un ispettore dà la caccia al poeta cileno vincitore del premio Nobel, Pablo Neruda, fuggitivo dal suo paese di origine alla fine degli anni '40 per l'adesione al Partito Comunista. (107 mins.)

Director: Pablo Larraín
Stars: Gael García Bernal, Luis Gnecco, Mercedes Morán, Emilio Gutiérrez Caba

Neruda: "Ora se volete andatevene.
Ho vissuto tanto che un giorno
dovrete per forza dimenticarmi,
cancellandomi dalla lavagna:
il mio cuore è stato interminabile.
Ma perché chiedo silenzio
non crediate che io muoia:
mi accade tutto il contrario:
accade che sto per vivere.
Accade che sono e che continuo."
(da Chiedo silenzio, Pablo Neruda)


Neruda ha 44 anni, ma ha già vissuto veinte y una esistenze di un uomo comune.
È il più grande poeta cileno da quando ha vent'anni, è un diplomatico da quando ne ha ventitré e ha viaggiato per tutte le latitudini.
È già stato sposato una volta e ora, la sua nuova compagna, Delia, è una donna vertical, colta e acuta, molto più grande di lui.
È il figlio di un ferroviere, conosce miseria e fango. La sua è un'infanzia selvatica, affilata dentro una Madre Natura nella sua luce più rudimentale, albori che trapassano tutto d'un tratto alle buone maniere, tra edifici istituzionali e case principesche.
La vita, alta e bassa, lo circonda, lo supera. Lui la trama e attraversa da sinistra Vs destra, da strofa a ditirambo, da satirico a didascalico.
Poi arriva il tradimento di Videla.


Neruda: "Tutti mi chiedono di saltare,
di tonificarmi, di giocare al pallone,
di correre, di nuotare, di volare.
Benissimo.
Tutti mi consigliano riposo,
tutti mi destinano dottori,
guardandomi in certo modo.
Che succede?
Tutti mi consigliano di viaggiare,
di entrare, di uscire, di non viaggiare,
di morire e di non morire.
Non importa.
(...)
Ho paura di tutto il mondo,
dell'acqua fredda, della morte.
Sono come tutti i mortali,
improrogabile.
Perciò in questi corti giorni
non voglio farne conto,
mi aprirò e mi chiuderò
col mio più perfido nemico,
Pablo NERUDA."
(da La paura, Pablo Neruda)


Il pelotaro pingue, stanco di declamare la stessa poesia, accetta l'esilio, la fuga: proscrizione come sia pena da infliggere all'Altro, al comunista, non a lui, il Poeta. Anzi, che Dio lo voglia! Ci sarà travestimento e avventura. 
«Sono io l'artista» gli dice Delia, la sua marxista matrimoniale. «Che sia esilio!» pensa subito lui.
Il racconto della traversata delle Ande gli tornerà utile per il discorso alla premiazione del Nobel, in tutta l'epica organica che la sua vita e i suoi scritti  irradiano, fino al mistero oscuro della sua morte.
Ma qui stiamo facendo un passo oltre il quadro. Anche perché il biopic non risponde alla chiamata agiografica. 

Qui (e altrove) non esiste biopic se non quello interiore: il real-consciousness del poeta e del regista: di Neruda e Larrain.
Poesia e immagine, simbolo e forma, si uniscono in un luogo illusorio. 

«Maledizione! Questo biopic fa acqua, vento e neve da tutte le parti!» (aggiungo io).

E Belyj - che arriva da non si sa dove arrivi - ci invia un link: 
«Se Pietroburgo non è la capitale, allora non c'è Pietroburgo. La sua esistenza è soltanto illusoria. Comunque sia, Pietroburgo non è soltanto illusoria, ma si trova anche sulle carte; in forma di due cerchi concentrici con un punto nero nel mezzo; e da questo punto matematico che non ha dimensioni proclama energeticamente la propria esistenza: di qui, da questo punto si diffonde come una fiumana lo sciame delle parole del nostro libro; da questo punto invisibile si diffondono con impeto le circolari».
(da Pietroburgo, Andrej Belyj)


Ma sì. Questo Belyi è misterieux. Tres misterieux. Uno scrittore che pedina quel plagiaro di Larrain che spia Pablo: è sua la Pietroburgrafia su Neruda.
Facile - dice - lo stratagemma del cinema con circolari e dispacci di luce. Mica quella luce d'aquario che è lo scrivere. A rose is a rose is a rose, oppure no.


E giù, abbandoniamo il russo utopico, voce del verbo passionale dilemma; eccoci, signora mia, di nuovo prostrati al giovane Larrain:
le circolari, i soliloqui e i piani sequenza mostrano il personaggio che insegue il suo autore.


Oscar: "Non mi importa che mi abbia creato lui
che mi abbia reso un personaggio secondario.
Anche io ho creato me stesso.E l'ho fatto malissimo.
Mi sono inventato senza vita, solo, senza amore.
Mentre il poeta mi ha inventato furioso, pieno di vento.
E ha anche scritto una morte favolosa per me."
(dal film)


L'autore si sente braccato dal suo personaggio, insicuro nella sua maledizione/benedizione di creatore che non scorre più felice e primitiva, come quando con facilità inventariava le “cose ancora senza nome”.
Quell'ispirazione che, prima dell'esilio, sentiva appianarsi in una levigatezza responsabile e politica, non creava che figurini retorici. Già...
Oscar Peluchonneau lo pressa, gli chiede asilo letterario, gli chiede una poesia. Lo riporta nel luogo dove
devo tornare / a tanti luoghi futuri / per incontrarmi con me stesso / ed esaminarmi senza sosta, / senz'altro testimone che la luna / e poi fischiare di gioia / calpestando pietre e zolle, / senz'altro compito che esistere, / senz'altra famiglia che la strada. (da Il vento, Neruda)


Pablo: "Sì, lo conosco
E' il mio poliziotto, il mio persecutore.
Il mio fantasma in uniforme. Il mio fantasma in uniforme.
Io sogno lui e lui sogna me. Io sogno lui e lui sogna me.
Mi osserva, mi sta col fiato sul collo. Mi osserva, mi sta col fiato sul collo.
Guarda quello che hai scritto, poliziotto. Guarda quello che hai scritto, poliziotto.
Hai scritto della merda e dei cavalli. Hai scritto della merda e dei cavalli
Hai creato me. Hai creato me.
Ormai non senti più freddo. Ormai non senti più freddo."
(dal film)



Neruda: "Sono colui che fabbrica sogni
e nella mia casa di penna e di pietra
con un coltello e un orologio
taglio le nubi e le onde,
con tutti questi elementi
ordino la mia calligrafia
faccio crescere esseri senza rotta
che ancora non potevano nascere.
Ciò che io voglio è che ti amino
e che tu non conosca la morte."
(da Repertorio, Pablo Neruda)


In nova fert animus mutatas dicere formas corpora¹; in groppa al cavallo, in fuga, nella neve fosforescente come i gelsomini, rivede la sua prima pagina bianca. Pablo il Poeta è vivo!
Oscar Peluchonneau, invece, biascicando, lo implora. Al suo creatore, al suo dio chiede: «Di' il mio nome. Dillo!»...muore nel freddo definitivo e terminale.


Le sue ultime parole gelano e cadono giù a terra. Le risentiremo in primavera, quando i ghiacci si scioglieranno e riprenderanno vita; forse saranno già rinnegate da tempo: «Sono il figlio di una prostituta e di un poliziotto, sono il figlio di una congerie che favillava nell'incubo del Poeta. Io, forse, sono Larrain, cresciuto sull'immaginario poetico di un intero popolo, su una grandezza che pare inarrivabile, per la quale tutti disertano, tranne me».


Il tema del doppio innerva tutta la struttura del film. La scissione tra responsabilità etiche e civiche e gli impulsi più intimi e artistici sfocia in una storia di redenzione, che non è una conversione definitiva, una via crucis sola andata, ma un passaggio e un ritorno dall'istituzionale alla poesia, dal politico all'artistico e viceversa.
Il film crea uno spazio mentale tra ciò che dovremmo essere eticamente e quello che sogniamo esteticamente. Larrain lo mette in scena adoperando quella che Deleuze chiama “pratica d'intercessione”, un discorso libero indiretto tra la biografia del poeta e la visione etica/estetica del regista stesso. Il racconto mitico e quello storico giocano come un fiume palindromo.
Larrain, come Neruda con la sua vita e poesia nell'atto dell'esilio, trasporta il suo cinema fuori dal suo paese e lontano dalla sua maniera.


La storia di Neruda è un grande punto che si è fatto nome e luogo di un popolo, di una certa idea di poesia-mondo.
Larrain, a cui certamente non difetta una  visione d'insieme, marca questo punto per mettere fine alla sua autopsia sul corpo storico e sociale del Cile (subito dopo partirà verso Lamerica di Jackie).
E lo fa svelando il momento esatto in cui, per il poeta, questo segno torna a essere solo un grumo d'inchiostro: quando la sera arriva troppo velocemente, il sipario si chiude, la luna è coperta dalle nuvole, le messe non convincono, le muse tornano a dormire e lo scrivano inizia a dubitare.

Neruda: "Non v'è spazio più ampio del dolore
Non v'è universo come quel che sanguina."
(da Punto, Pablo Neruda)




Se Neruda non è la la sua vita come ci viene raccontata, allora non c'è Neruda. La sua esistenza è soltanto illusoria. Comunque sia, Neruda non è soltanto illusorio, ma si trova anche sulle carte; in forma di due cerchi concentrici con un punto nero nel mezzo; e da questo punto matematico che non ha dimensioni proclama energeticamente la propria esistenza: di qui, da questo punto si diffonde come una fiumana lo sciame delle immagini del nostro film; da questo punto invisibile si diffondono con impeto le circolari.

Neruda: "Indubbiamente tutto va benissimo
e tutto va malissimo, indubbiamente."
(da Non così in alto, Pablo Neruda)


Un'intervista a Pablo Larrain:



Note:
¹A narrare il mutare delle forme in corpi nuovi mi spinge l’estro.
(Ovidio, Metamorfosi, Garzanti 1995)

Luca Tanchis

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